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I principali obiettivi del CEO Branding

Luigi Centenaro
Docente presso SDA Bocconi, POLIMI, WHU Dusseldorf, ESSEC Parigi e Bath SoM, fondatore di BigName, gli specialisti dell’innovazione di persone e team in azienda. Primo Personal Branding Strategist italiano, orgoglioso autore e curatore per Hoepli e fondatore di PersonalBranding.it (2008).

Il CEO Branding ha diverse applicazioni, ma di solito individuiamo tre principali incidenze sulle funzioni aziendali: publicity, leadership e Branding “aziendale”.

Ma aspettiamo un attimo a parlare di obiettivi: prima definiamo i vari pubblici che sono coinvolti quando si svolge un’attività di CEO branding, in linea con quelli classici della corporate communication. Principalmente sono i collaboratori, i clienti e tutti coloro che li influenzano in qualche modo. Se ci troviamo in un contesto più complesso, naturalmente possiamo trovare anche altri stakeholder, tra cui per esempio le autorità pubbliche o gli azionisti.

Il/la leader può trovarsi ad affrontare problemi molto diversi solo per il ruolo che ricopre, in base alle sue caratteristiche. Per esempio può essere molto competente, ma avere poco carisma. Oppure avere una scarsa riconoscibilità, essere percepito/a come molto “aziendalese” e poco interessante di per sé. O ancora, può avere una visione troppo autoriferita ed egocentrica, con problemi di percezione e consapevolezza di sè.

Soprattutto, potrebbe non usare per nulla i social media per incompetenza (nel senso che non sa usarli), inapplicabilità rispetto al tema aziendale o attitudine personale. Per il tipo di percorso professionale svolto nella vita, potrebbe avere qualche segreto scomodo, magari neanche troppo nascosto. Qualcuno addirittura ha il desiderio di cambiare lavoro, o semplicemente riorganizzare le relazioni con il suo staff, gestendo la complessità delle cordate interne.

I principali obiettivi del CEO Branding
Le 4P del CEO Branding descritte da Marc Fetscherin nel suo libro “CEO Branding: Theory and Practice”

L’elemento comune di tutte le situazioni è, probabilmente, che ha un bisogno costante di ristabilire le sue priorità, capire come filtrare le opportunità mediatiche, sapere quando è il caso di dire di no. Deve necessariamente – molto più dei suoi collaboratori – gestire la vita privata in maniera attentissima, per fare in modo che non risulti un’immagine personale in contrasto con la sua leadership.

Secondo Peter Aceto, CEO, ex CEO di Tangerine/IngDirect Canada e ora CEO di CannTrust9o intervistato da Carmine Gallo di Forbes, “i leader di successo non verranno più misurati solamente sulla base del valore della singola azione. Saper gestire e comunicare con gli shareholder, con i dipendenti, con i governi, le comunità e i clienti saranno fattori indispensabili in futuro. Stanno in ogni caso già parlando della vostra azienda. Perché non entrare a fare parte della conversazione?”

Publicity

Arriviamo dunque alla prima applicazione del CEO Branding, quella volta a generare publicity. Per publicity intendiamo quando una notizia relativa a un’azienda o a un prodotto viene ripresa gratuitamente dai media generalisti, per esempio attraverso la stampa o le interviste. La publicity è essenziale nella funzione di pubbliche relazioni, perché consente di far conoscere il brand dell’organizzazione, ottenere visibilità, farsi un nome. Proprio per questo, il/la CEO ha un ruolo chiave, perché trasferisce la sua credibilità e immagine sulla percezione che le persone hanno dell’azienda o dei suoi prodotti.

“Ho imparato che esiste un ciclo virtuoso legato alla trasparenza e uno decisamente vizioso legato all’offuscamento”, ha affermato l’ex CEO di LinkedIn, Jeff Weiner, Nel suo Executive Playbook, scaricabile gratuitamente qui.

Leadership

Altrettanto rilevante è la seconda applicazione del CEO branding, quella che vuole affermare la leadership. Vale a dire, come strumento di comunicazione interna. L’idea alla base è quella di prendere le strategie studiate nelle stanze dei bottoni e trasformarle in messaggi che possono essere trasmessi a tutta l’organizzazione, che poi deve agire di conseguenza. Così facendo si genera l’elemento indispensabile per passare dalla teoria alla pratica, che poi è anche la base per ogni progetto di change management: la corretta “cascata informativa” che parte dai vertici aziendali, passa dal middle management e arriva (si spera) a chi poi deve eseguirla.

Anche qui la fiducia è essenziale, ma non è facile da coltivare, specialmente quando si parla di organizzazioni molto strutturate e di portata globale. Secondo uno studio effettuato in Irlanda dall’agenzia PR360 l’82% dei dipendenti ritiene molto importante la comunicazione con il proprio CEO, e il 70% afferma di sentirsi più valorizzato quando non viene escluso dal loop informativo.

Come ricorda l’ex CEO di Charles Schwab David Pottruck: “Migliaia di collaboratori mi conoscono solo attraverso la mia reputazione, quindi per me la reputazione è tutto, in senso letterale”. Per approfondire consigliamo di leggere questo White Paper del Bailey Group.

Branding

Infine, il terzo beneficio principale del CEO Branding è quello più ovvio, legato alla notorietà e al posizionamento del Brand dell’organizzazione che guida, anche in ottica di Employer Branding. Infatti l’immagine di un amministratore delegato non influisce solo sulla salute del brand, ma è importante anche per attrarre nuovi talenti, magari anche i migliori sul mercato. Per approfondire, ancora su Forbes leggete “Does your CEO Have a Personal Brand? If Not, It Could Be Affecting Your Bottom Line”.

“Le persone vogliono lavorare con leader che siano accessibili. Già nel 2012, un sondaggio BrandFog ha rilevato che il 78% delle persone preferisce lavorare per una società la cui leadership è attiva sui social media, mentre una ricerca Edelman indica il payoff di farlo, con il 75% dei CEO meglio classificati su Glassdoor grazie al loro utilizzo dei canali social.”

Anche per i Top Manager: Executive Branding

Così come i CEO, anche i top manager sono rappresentanti importanti dei brand, dato che il loro ruolo in azienda comporta una grande visibilità, anzi addirittura le loro parole sono spesso considerate alla stregua di comunicazioni ufficiali.

La diversità delle loro funzioni e le varie aree di competenza in azienda (commerciale, amministrativa, HR, marketing ecc.) offre un’opportunità per comunicare il posizionamento e i valori dell’azienda con voci e prospettive differenti, più personali e fruibili rispetto a quanto viene concesso al CEO. Un Executive inoltre può focalizzarsi su segmenti di pubblico particolari, più specifici o tecnici e decidere se rivolgersi ai clienti o a influencer del settore o relativi all’ambito della funzione che rappresentano.

Essere in grado di rappresentare la voce del proprio settore e costruire contenuti rilevanti fa tutta la differenza del mondo, garantito. I migliori dirigenti sfruttano l’opportunità che offrono le piattaforme social per poter aprire un canale di comunicazione personale e diretto tra loro e il resto del mondo, compresi giornalisti, parti interessate e clienti, permettendo a tutti di seguire le vicende in tempo reale. Attraverso i post che pubblicano, hanno la possibilità di dimostrare la loro leadership, fare vedere quanto l’azienda sia innovativa e abbia – grazie a loro – un volto umano.

Un buon punto di partenza è crearsi un profilo LinkedIn efficace (magari usando il nostro Linkedin Canvas?) senza fare spam di inviti e coltivando il network creato. Non entriamo in tecnicismi in questa fase, ma sappiate che PersonalBranding.it – il progetto di Brand Content sul tema di BigName – ha una gran quantità di materiale a riguardo.

Chiedete aiuto agli esperti

Molti ci chiedono formazione per i loro CEO ed Executive. Qualche ora di “envisioning” sul tema. La formazione aiuta lo sviluppo delle competenze e del knowhow necessari, ma anche questa da sola non è sufficiente. Per compiere una trasformazione vera e propria è necessaria una progettualità specifica, con diversi compiti, attività e fasi di lavoro. Ecco quindi che può risultare più fruttuoso rivolgersi ad agenzie specializzate o aziende che fanno consulenze in questo ambito, con le metodologie più indicate e non si curano solo degli aspetti meramente formativi o legati allla sola comunicazione digitale.

In un piano di Personal Branding la progettualità si avvale di metodi come il design thinking e di strumenti visuali. Mentre il primo funge da paradigma concettuale utile per muoversi in ambienti ambigui e complessi, i secondi permettono una maggiore presa dei concetti nelle persone che se ne servono e velocizzano notevolmente il processo.

Non ci stanchiamo di ripetere che il Personal Branding è una strategia: a seconda del target si possono attivare maggiori o minori risorse. Da parte nostra, ci auguriamo di avere fatto un po’ di chiarezza rispetto a come possa essere utile per raggiungere i vostri obiettivi aziendali, valorizzando le vostre figure chiave.

LEGGI ANCHE: Cos’è il CEO Branding, il Personal Branding applicato ai leader delle organizzazioni

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