Il motivo è molto semplice: la fiducia e il rispetto che chi guida un’azienda è in grado di suscitare presso i suoi stakeholder di riferimento, gli analisti e la comunità finanziaria, è un indice di performance tanto quanto il profitto o il valore delle azioni (a volte di più, visto che può influenzarli direttamente).
Il CEO di fatto è il dipendente più rilevante a livello di comunicazione, e se sosteniamo che ogni dipendente parla a nome di tutta l’azienda, la persona che sta al timone può rappresentarne l’identità (così come un sindaco può parlare a nome di tutta la città).
Viene da sè che il suo Personal Branding va curato moltissimo: la chiarezza della strategia, il modo di prendere le decisioni o assumersi dei rischi, la sua autorevolezza, la sua visione sono tutti elementi capaci di influenzare e ispirare i pubblici, pertanto possono essere determinanti.
Come mai oggi si parla di CEO Branding?
Quando ci si focalizza sul/sulla leader di un’organizzazione, si parla specificamente di CEO branding, ovvero di una serie di azioni strategiche che puntano a consolidare visione, missione e posizionamento dell’azienda attraverso l’identità, i valori e la personalità di chi la guida. Il CEO Branding non è un tema semplice: bisogna considerare aspetti legati all’organizzazione, strategia aziendale, pubbliche relazioni, lobbying, la leadership interna e il Branding in generale.
Questi sono i trend e fattori che hanno contribuito alla diffusione del CEO branding:
1. Gli strumenti che di fatto eludono i media e tutta la comunicazione tradizionale. Basti pensare a quello che accade ogni volta che Elon Musk, CEO di Tesla, twitta qualcosa. Si dice che il tweet qui sotto e il precedente (eliminato, in cui Musk affermava che il valore in borsa di Tesla fosse troppo alto) siano costati circa 14 miliardi in termini di capitalizzazione.
I am selling almost all physical possessions. Will own no house.
— Elon Musk (@elonmusk) May 1, 2020
2. Una sempre maggiore tendenza a voler comunicare in maniera diretta e a fidarsi delle persone e non delle aziende, soprattutto sui canali digitali, di solito abbastanza impersonali.
3. Una maggiore sensibilità da parte dell’opinione pubblica rispetto a global warming, diversità ed equality, differenze sociali e altri temi di cui si parla spesso. Weber Shandwick ha dedicato una sezione intera del suo sito all’attivismo in azienda. Tra le varie ricerche e studi presenti sul sito, ecco un esempio di qualche anno fa: nel 2004, Marilyn Carlson Nelson, CEO della società di viaggi Carlson Companies, si schierò direttamente contro il traffico di esseri umani. I colleghi di lavoro la misero in guardia contro questa posizione, ma Nelson sosteneva che le risorse di Carlson dovessero essere utilizzate per combattere il traffico di bambini e che la “cospirazione del silenzio” dovesse essere infranta. Le aziende dovevano essere responsabili anche su questioni che non riguardano direttamente quello di cui si occupano.
4. Il rispetto e la fiducia per le corporate che crollano, soprattutto a dopo la successione di crisi finanziarie degli ultimi decenni. Lo stesso vale per i leader aziendali, spesso criticati per gli enormi compensi che ricevono, anche quando il loro lavoro sulla società non viene percepito come positivo.
Per tutti questi motivi sempre più CEO hanno iniziato a utilizzare nuovi spazi e strumenti con l’obiettivo di cogliere nuove opportunità per le loro organizzazioni. In molti hanno abbracciato comportamenti “social”, fino a implementare vere e proprie strategie più o meno elaborate di CEO branding.
Come sostiene lo studioso İlkay Karaduman in un saggio, “è un periodo ideale per reinventare la leadership moderna. Il ruolo dei top executive si è evoluto ed è diventato più visibile, social, connesso e accessibile che mai. L’ambiente competitivo si è a sua volta trasformato, e i clienti, gli investitori e gli stakeholder si aspettano di avere accesso in modo costante agli insight e alla visione dei leader che rappresentano i brand”.
Chiedete aiuto agli esperti
Molti ci chiedono formazione per i loro CEO ed Executive. Qualche ora di “envisioning” sul tema. La formazione aiuta lo sviluppo delle competenze e del know-how necessari, ma anche questa da sola non è sufficiente. Per compiere una trasformazione vera e propria è necessaria una progettualità specifica, con diversi compiti, attività e fasi di lavoro. Ecco quindi che può risultare più fruttuoso rivolgersi ad agenzie specializzate o aziende che fanno consulenze in questo ambito, con le metodologie più indicate e non si curano solo degli aspetti meramente formativi o legati allla sola comunicazione digitale.
In un piano di Personal Branding la progettualità si avvale di metodi come il design thinking e di strumenti visuali. Mentre il primo funge da paradigma concettuale utile per muoversi in ambienti ambigui e complessi, i secondi permettono una maggiore presa dei concetti nelle persone che se ne servono e velocizzano notevolmente il processo.
Non ci stanchiamo di ripetere che il Personal Branding è una strategia: a seconda del target si possono attivare maggiori o minori risorse. Da parte nostra, ci auguriamo di avere fatto un po’ di chiarezza rispetto a come possa essere utile per raggiungere i vostri obiettivi aziendali, valorizzando le vostre figure chiave.
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